venerdì 25 gennaio 2008

martedì 22 gennaio 2008

Lettera da Napoli

Questa è una lettera publicata da Piero Ricca nel suo blog
che mi ha dato spunto per il titolo del post precedente.
E' un ritratto coerente delle cause che hanno portato il meridione alla situazione attuale.






A Napoli dovrei starci almeno un mese. Ho addosso sentimenti contrastanti. Questa è una città immersa in uno spaventoso degrado eppure dotata di tutte le potenzialità per riscattarsi. Sto conoscendo persone serie, lucide, perbene. Per nulla rappresentate dalle istituzioni e dall’informazione. Ma il “caso Napoli” è tutt’uno con il “caso Italia”. Ieri sera ho ricevuto questa lettera da una persona con la quale ho fatto due chiacchiere in via Toledo.

Caro Piero,
non più tardi di due ore fa ci siamo incontrati alla via Toledo e Ti ho accompagnato a casa. Mi dispiace di non averVi potuto seguire in pizzeria “al 22″ e, temo, di non poter esserci domani (ieri, ndr) al Gambrinus. Ci tengo però a non venir meno alla mia promessa delle trenta righe. Eccole… un caro saluto.

Giuseppe Balsamo


Caro Piero,
vorrei parlarTi della mia città, Napoli, partendo da lontano, non per trovare le colpe dell’attuale inciviltà, quanto piuttosto per trovare le cause che - secondo me - hanno originato il disastro di questi giorni, e soprattutto per evidenziarle a chi, come Te, in questi giorni scrive “nonostante tutto, Napoli è splendida”, cosa mai può essere stata l’origine di un male così antico. Quanto qui scrivo non riguarda solo Napoli, ma tutto il Sud Italia e Napoli, a mio avviso, è solo l’esempio più eclatante di una decadenza molto più diffusa.Un mio amico, docente universitario, mi ha insegnato che il presente è la derivata fra memoria ed utopia e, se permetti, vorrei condividere con Te e con gli amici del Tuo blog alcuni miei ricordi ed alcune mie utopie.Vorrei quindi metaforicamente girare per le vie della mia città e farTi conoscere direttamente dalle “pietre” ciò che eravamo e ciò che siamo diventati. Nella mia città, in Piazza Carlo III, nel 1751 Carlo III di Borbone, in piena epoca illuminista, commissionò all’architetto Ferdinando Fuga il più grande palazzo d’Europa a pianta orizzontale, il Reale Albergo dei Poveri. Non doveva essere una reggia, ma al contrario una struttura capace di accogliere i circa 8.000 poveri, diseredati, sbandati ed immigrati dell’allora Regno delle Due Sicilie, lì veniva insegnato loro un mestiere e venivano assicurati gli adeguati mezzi di sussistenza. Accanto al palazzo quello stesso re fece costruire il primo cimitero al mondo per dare degna sepoltura ai poveri, il “cimitero delle 366 fosse”.Aggiungerei a questo che a Napoli già nel 1500 sono stati “inventati” i conservatori, come luoghi dove “conservare” la musica e tramandarla soprattutto ai fanciulli abbandonati (ne avevamo 4 “Santa Maria di Loreto”, “Pietà dei Turchini”, “Sant’Onofrio a Capuana” e quello “dei Poveri di Gesù Cristo”, poi a inizio ottocento unificati in quello attuale di “San Pietro a Majella”).Aggiungo a questi luoghi il Real Sito di San Leucio, con le sue seterie, primo concreto esempio di socialdemocrazia nel mondo.I primati tecnologici della mia città sono stati ancora tanti, ma qui mi interessa analizzare il livello di civiltà raggiunto in ciascuna epoca e trovare il punto di regressione, il primo scricchiolio da cui è poi derivato l’attuale disastro.Quelli che ho citato non sembrano propriamente i dati di una città storicamente incivile, quanto piuttosto i dati di una città che era capitale di un regno ricco e che, per un lungo periodo ultrasecolare, è riuscita ad essere all’avanguardia nelle politiche sociali, quella stessa città che oggi muore con la sua regione sommersa dall’immondizia.Ma allora è legittimo chiedersi, cosa è successo negli anni successivi, quale degrado giustifica l’attuale disastro morale e civile ?Vorrei parlare adesso della Calabria, la regione d’Italia che oggi è considerata come la più povere.Nel 1860 a Mongiana sulle Serre, attualmente in provincia di Vibo Valentia, c’era una fabbrica, le Reali Ferriere, che occupavano tra i 2.700 ed i 2.800 operai, in una regione dove oggi sfortunatamente non esiste nessuna azienda che occupa tanti operai.Allora non c’era la ‘ndrangheta, così come non esisteva la camorra in Campania, nè la mafia in Sicilia.Per la logica delle cause e non certo per individuare delle colpe, vorrei capire, dopo tanti primati, come sia possibile che dopo 150 anni dall’unità d’Italia al Sud non si sia stati in grado di costruire un’autostrada decente che ci colleghi con la Calabria e la Sicilia e capire se non sia iniziata con l’unità d’Italia la crisi della mia città e del Meridione d’Italia.Vorrei sapere a cosa ed a chi sono andati tutti i miliardi spesi per il Mezzogiorno, vorrei sapere se partendo da Enrico Cialdini allora a Casalduni e Pontelandolfo, così come a Bronte ed in mille altri posti, la terra si è macchiata del sangue di tanti concittadini che forse già presagivano l’immane successivo disastro e se quei morti sia giusto o ingiusto ricordarli, così come è giusto oggi ricordare al Bassolino di turno dei morti di Acerra, Nola, Palma Campania, vittime di una delle più grandi catastrofi ecologiche del nostro secolo.Vorrei fare tutto questo per ritrovare dalla decadenza il punto di risalita, il momento della rinascita.Vorrei lasciare aperte le risposte a tutti per spiegare a me stesso ed agli altri quali siano le origini della decadenza economica, morale e civile di una città e con essa, poi di una parte rilevante del mio paese, il Meridione d’Italia e, successivamente dell’Italia intera.Può essere un modo per rinascere finalmente uniti.